Foo Fighters, da Cesena a Bologna tutti alla corte di Dave Grohl.

Nessuno, durante la maratona rock dei Foo Fighters all’Unipol Arena, sapeva degli spari, del sangue, dei morti, della paura, che attanavagliava Parigi. Se l’avessimo saputo, avremmo pregato Grohl di restare: “Keep playing”. Suonala ancora, Dave.

13 novembre 2015. All’interno della Unipol Arena di Bologna, venerdì sera, durante il concerto dei Foo Fighters, nessuno sapeva quello che stava succedendo in quelle stesse ore a Parigi. Nessuno, durante quella folle ed esaltante maratona di rock sfrenato, sapeva degli spari, del sangue, dei morti, della paura, che, a una manciata di chilometri di distanza (come se la distanza significasse qualcosa poi), attanagliava centinaia di persone, alcune delle quali erano andate a sentire un concerto rock proprio come noi (quello degli Eagles Of Death Metal a Le Bataclan, un gruppo peraltro vicino allo stesso Grohl).
Fa strano pensarci, e fa strano anche essere qui a scriverne, a parlare di un “live” (dei Foo Fighters, appunto) mentre di là si sparge la morte. Ma la musica non è (solo) divertimento: la musica unisce, tiene insieme le persone, gli amici e quelle che non si conosceranno mai, ma che, per il tempo di una canzone, diventano magicamente “noi”. Non è un caso che l’Isis abbia colpito anche lì, sotto a un palco. La musica è vita, è gioia, libertà, speranza. E a chi sparge terrore non c’è niente che possa fare più male di queste parole. Ed è anche per questo che noi decidiamo comunque di parlarne.
È stato un concerto tutto da sudare, ballare e pogare quello di Dave Grohl e suoi all’Arena di Bologna. Le avevamo viste le foto col gesso, li avevamo guardati i video con gli assoli di chitarra «in poltrona», lo sapevamo già (da un pezzo) che l’ex batterista dei Nirvana è un musicista dalla grinta incontenibile e un po’ matta. Eppure finché non ce l’hai lì davanti dal vivo, immobile e comunque inarrestabile, è difficile immaginare fino a che punto riesca ad arrivare, seduto su quel trono luminoso di chitarre, con la gamba bloccata.
«Lo volete conoscere il segreto?», urla il 46enne dal palco. «Il segreto è alternare pezzi bum bum bum a brani più lenti, fare della pause». Solo che lui le pause quand’è che le fa, va sempre col piede dritto sull’acceleratore, dalla scatenata The Pretender alla più dolce Big Me, che tutti intonano con le lucine dei telefoni al cielo. Dal trono che scorre avanti e indietro sulla pedana, Grohl domina l’Arena, e tu neanche te ne accorgi che il re è in realtà una rockstar seduta. «Volete ballare tutta la notteee? Vi faccio vedere io come si fa». E poi lo fa davvero vedere (con Monkey Wrench, White Limo, All My Life).

«È un piacere e un onore essere qui a Bologna, una città dove già prima di voi avevo tanti cari amici», dice al netto di tutti i fucking. «Anni fa, quando venivo in Europa con la mia vecchia band degli Scream, ovunque andassimo a suonare venivano a sentirci in sessanta, al massimo cento. In Italia no, in Italia c’erano sempre migliaia di persone, ecco perché qui ho tanti amici!», racconta citandone alcuni (tra cui una ex fidanzata non meglio identificata come “Loretta”?).
Congregation è un trittico di colori, Walk un bagno di luci dorate. «Chi è qui a sentire i Foo Fighters per la prima volta?», chiede Grohl. E parte con le presentazioni dei compagni, che non sono mica solo «quelli della band», ma il chitarrista Chris Shiflett (“Chris questa è Bologna, Bologna questo è Chris”), il tastierista Rami Jaffee, il bassista Nate Mendel, l’altra chitarra storica Pat Smear, e poi lui, il biondo e scatenatissimo Taylor Hawkins. «Stai bene?», domanda Dave inaugurando un siparietto italo-idiota. “Stai bene?” -“Prego”. “Sei grande!” – “Grazie”. “Che stronZo, vafanculo Bologna!”, sproloquia suscitando ilarità e fischi ironici di disapprovazione (“Calma ragazzi!”).
Col pubblico Grohl ci gioca in continuazione e gli basta un cenno di ciglio, una scrollatina di spalle, per assecondare e/o sollecitare gli umori della platea. Che va dalle giovani coppie pop ai ragazzi (e non più tali) del rock. «Voi italiani siete pazzi!», ripete come già aveva fatto a Cesena per la festa-evento promessa ai Rok’in1000 di questa estate. E la pazzia del pubblico – ma prima ancora la sua – si manifesta in particolare in Skin And Bones, che a colpi di Mahna-Mahnà (uno dei ritornelli dei Muppets) Grohl trasforma in una gag interminabile: la platea risponde e lui va avanti «a fare il cretino», divertendosi come un matto. La sua risata è travolgente.
«Mi sento come se noi siamo il pubblico e voi la band! », urla poi. «È stato un concerto perfetto, perché voi siete perfetti», ringrazia, carismatico e piacione.
«A noi Foo Fighters non piace uscire e fare finta che sia finita per farci pregare di tornare. A noi piace suonare suonare suonare», dice prima di terminare con Best of You.
Beh, se avessimo saputo quello che ci avrebbe aspettato poi fuori lo avremmo sicuramente pregato di restare, “Keep playing, keep playing”. Suonala ancora, Dave. Perché la musica non può e non deve finire, perché l’odio non la può fermare.
(Liberamente tratto da Vanity Fair).
 

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